Un tragico fatto di cronaca degli ultimi periodi, dove un ragazzino di 11 anni si è tolto la vita nel napoletano, ha scatenato di nuovo l’attenzione dei media attorno al fenomeno delle challenge online.
Cosa sono, nello specifico, queste sfide che spopolano su social come TikTok, sempre più usato dai giovanissimi?
Partiamo col dire che i social network hanno amplificato e reso digitale una realtà che già è presente da molti anni nel tessuto sociale. Il fenomeno dell’emulazione è molto forte tra gli adolescenti, che si sfidano tra loro a prove di coraggio o di intuito, per emergere all’interno di quello che viene definito non a caso “branco”, mutuando il termine dal regno animale.
Partecipare in gruppo a un qualcosa di rischioso e pericoloso, poi, rende il “vincitore” meritevole di stare sotto le luci della ribalta.
Trasferendo il fenomeno del branco e dell’emulazione all’interno di un contesto moderno e social, dove i giovani dai 12 ai 14 anni rappresentano una grande fetta degli utenti, le sfide nate come un momento goliardico e talvolta per scopi benefici (basti pensare alla Ice Bucket Challenge) possono diventare con facilità un’occasione di pericolo dalle conseguenze letali.
Queste challenge richiedono di solito di documentare l’impresa con brevi video, spesso dai connotati agghiaccianti, e la velocità con cui questi si propagano attraverso i social li rende un fenomeno preoccupante a livello globale.
Blue Whale: la genesi delle moderne challenge online
La Blue Whale Challenge è stata l’apripista verso la sensibilizzazione del fenomeno. Che sia reale, o una pura invenzione mediatica come molti esperti sostengono, a essa sono stati collegati decine di suicidi.
Partita dalla Russia e dilagata fino ad arrivare anche da noi, la Blue Whale Challenge consiste in una sfida lunga 50 giorni e altrettante tappe, che vertono tutte su atti di autolesionismo fisico e mentale, fino a spingere l’adolescente al suicidio nell’ultimo giorno.
Un caso accertato di Blue Whale in Italia esiste ed è tuttora in fase di processo: una ragazza di 23 anni, che si spacciava per una delle ideatrici della challenge, ha spinto una dodicenne a incidersi sulla gamba la scritta “yes” come testimonianza del suo “essere pronta alla sfida”. In caso contrario, avrebbe dovuto procurarsi comunque dei tagli come punizione.
L’inquietante Momo
Una delle più recenti è la Momo Challenge. Momo, per l’appunto, è un profilo social creato ad hoc con fattezze inquietanti, riprese da una creazione artistica che lo scultore Keisuke Aisawa ha prodotto per Link Factory, una casa di produzione nipponica, che si occupa di effetti speciali per il cinema.
Momo adesca gli adolescenti tramite WhatsApp, dove distribuisce una serie di istruzioni bizzarre e pericolose (privarsi del sonno, farsi del male). Come già avvenuto per la Blue Whale, secondo alcuni si tratta di una leggenda metropolitana: di certo, qualsiasi sia la reale origine del fenomeno Momo, anch’esso è un veicolo lanciato verso pericolose emulazioni.
Jonathan Galindo: vuoi fare un gioco?
La Jonathan Galindo Challenge è simile alla precedente. Nata negli Stati Uniti, dove è diventata molto popolare, il meccanismo che la contraddistingue non è molto diverso dalle altre challenge: anch’essa ruota attorno a uno o più profili fake con immagini inquietanti (in questo caso, una maschera dalle fattezze simili a Pippo della Disney) che rimandano a link dove le vittime troveranno istruzioni dettagliate per partecipare a un gioco macabro e autolesionistico.
Le challenge che spopolano su TikTok
Diverse nelle modalità, ma non meno pericolose, sono invece le challenge che spopolano su TikTok, il social più amato dai giovanissimi.
Queste sfide non hanno sempre alle spalle malintenzionati che adescano gli adolescenti, ma si basano comunque sul principio dell’emulazione: dall’ingerire pasticche di detersivo per la lavastoviglie, alla cannella (molto pericolosa se ingoiata in polvere pura, senza l’ausilio di un liquido), spicca la Planking Challenge che prevede di sdraiarsi nei posti più inconsueti e pericolosi come incroci stradali o binari ferroviari.
La Blackout Challenge, invece, ha effetti ancor più imprevedibili e molto spesso fatali, in quanto si tratta di filmarsi mentre ci si provoca un’asfissia temporanea: è facile immaginare come la situazione possa sfuggire rapidamente al controllo e portare alla morte.
Skullbreaker Challenge: fatale forma di bullismo social
Questa è una challenge dove non si mette in pericolo la propria incolumità ma quella altrui. Tre ragazzi si organizzano per riprendersi mentre saltano in contemporanea, ma le due persone ai lati in realtà si accordano per fare uno sgambetto al ragazzo al centro, che perde l’equilibrio: l’obiettivo macabro, come suggerisce il nome della challenge, è quello di far battere la testa al malcapitato. Ovvie sono le conseguenze di un simile pericolosissimo gioco.
Il ruolo dei social media nella viralità delle challenge
I ragazzi e i bambini, dotati di smartphone e connessione internet dalla più tenera età, sono il terreno fertile ideale per questo genere di sfide, affascinati come sono da tutto ciò che è popolare e apparentemente divertente.
Partecipano per trasgredire le regole, alimentare la propria autostima attraverso il riconoscimento altrui e dare prova di coraggio. Molto spesso si tratta di una richiesta di ascolto da parte dell’adolescente nei confronti dell’adulto, anch’egli preso dalla velocità del cambiamento mediatico.
Non sempre tutto ciò porta al suicidio, ma di certo rappresenta un forte campanello d’allarme per le fasce di età più deboli e condizionabili, ossia quelle su cui occorrerebbe una maggiore vigilanza da parte dei genitori e tutori.
Come tutelare i giovani dai pericoli online?
Prevenire le situazioni a rischio è difficile, ma non impossibile.
Gli step da attuare iniziano dalle scuole, dove è auspicabile una sorta di “educazione digitale” che sviluppi nei bambini e nei ragazzi una maggiore consapevolezza dei mass media, dei social e del loro enorme potenziale.
Il passo successivo è trasferire questa consapevolezza all’interno delle famiglie, partendo da una conoscenza condivisa: non è realistico, oggi, impedire ai giovani l’accesso a una connessione internet.
Di conseguenza, diventa cruciale prendere atto sia delle potenzialità del web, sia dei pericoli a cui ci si espone.
Fin dalle scuole elementari è consigliabile promuovere nei bambini lo spirito critico, esortandoli a porsi delle domande e a ragionare sulle potenziali conseguenze dei propri gesti: questo favorirà anche la costruzione della loro autostima e li renderà degli adulti consapevoli.
La diretta conseguenza di tutto ciò è un aspetto ulteriore che viene sempre più spesso trascurato e abbandonato, ossia la creazione di un sano dialogo interpersonale.
Che sia tra insegnanti e alunni, o tra genitori e figli, il dialogo è quel ponte in grado di collegare generazioni in conflitto e il primissimo passo per contrastare il fenomeno delle challenge online, un pericolo subdolo e in drammatica crescita.